09/11/2007

Braille

Chi nasce aforisma non è in grado di spiegare pienamente ciò che vorrebbe gli altri sapessero. Io sono un aforisma. Sono una frase letta ad alta voce della durata di pochi istanti e che per molti è troppo complicata per essere ricordata o capita.
Gli aforismi si perdono nella quotidianità, nelle luci, negli istinti estinti in pochi istanti, negli alberi di Natale che disprezzano perché magnolie addobbate, nei cancelli che si chiudono per ogni porta che si era aperta, nella punta di una matita che fora la carta tenuta a sbalzo.
L’aforisma è a se stante e non ha bisogno di dare spiegazioni su di sé, esce praticamente solo la sera perché di giorno studia per diventare prosa o poesia o proverbio. Non ha organi, non ha polmoni, non ha arti, ma arte, da qualche parte. È molto spesso malinconico.
L’aforisma si prenota e poi si pente all’ultimo momento, soprattutto se non c’è più nemmeno (permettetemi) un brandello di muro da abbattere, perché è troppo tardi, e le mattonelle le usano gli altri per costruirsi un futuro. Siamo tangenti ai cerchi della gente, che tocchiamo e salutiamo, per paura di disturbare o di essere intersecati. Molti preferiscono Trieste a Milano, alcuni soggiornano a Ferrara, altri ancora scelgono l’Inghilterra come meta turistica; tutti però amano spostarsi e vanificarsi come frasi sussurrate ai sordi.
L’aforisma viaggia senza biglietto e si nasconde sull’ultima carrozza sperando nella pigrizia del controllore. Molte volte perde il treno e rimonta una o due fermate successive: dipende dall’eco.
Gli aforismi sono cocci di poemi o emozioni, sono aringhe pescate sui monti, sono palindromi che letti al contrario hanno lo stesso identico corpo ma maggiore enfasi, sono i tasti della calcolatrice una volta terminate le palline sull’abaco.
Sanno leggere in braille perchè credono che l’amore sia cieco.
L’aforisma è tutto quello che vi avrei voluto dire e non vi ho scritto, ciò che vi avrei voluto scrivere e non vi ho detto; colpa mia, più che dell’amore.

P.S.
prestami il moscone che vado in Nord Europa, Montone.

04/10/2007

A d’amo, e d’Eva

Capita spesso che rimanga molto tempo a fissare il monitor, prima di cominciare a scrivere qualcosa che m’aggradi. È questo il caso. Non mi piace scrivere troppo di me, ne tanto meno delle mie amarezze. Non mi piace, ma lo faccio. Non scriverei cose interessanti nemmeno se mi capitassero: preferisco propinare periodi senza logica, probabilmente per il mio modesto livello culturale che m’impedisce di formulare non più di un pensiero razionale alla volta. Mia madre sostiene che non sia mai stato entusiasta di nulla, e credo abbia ragione. Sono sempre più convinto del fatto che un ripasso generale delle nozioni base di lingua italiana non possa che giovarmi.
Stranamente oggi, rileggendomi dopo molto tempo, non mi sono trovato nemmeno troppo pesante. Forse ad alcuni di voi manca solo un algoritmo di lettura, una formula che traduca in sensate certe mie affermazioni apparentemente casuali. So per certo che coloro che posseggono suddetta “chiave” si possono contare sulle dita di una mano, i restanti non possono far altro che ipotizzare (beati voi).
Da due settimane sono sommerso dal lavoro, mangio il giusto e faccio poco movimento. Due settimane fa ero più giovane di quattordici giorni e mi dicevo che era solo questione di un paio di settimane e tutto si sarebbe risolto. Due settimane fa stava per cominciare il mio Autunno-inverno, proprio mentre i Weakerthans cantavano “Everything must go” e io ero seduto sul letto davanti all’armadio a fissare i vecchi maglioni di cotone; è quasi divertente il fatto che anche oggi abbia passato tre quarti della mia giornata in maniche corte. È altrettanto assurdo che durante il giorno mi capiti spesso di pormi domande esistenziali, banali, antiche, la cui risposta potrebbe benissimo essere inglobata in una paternale non troppo curata, ma benché me ne renda conto, rimango ugualmente a pensarci per qualche minuto, quasi in attesa di una risposta o di un miracolo divino che venga ad illuminarmi.
Mi piacerebbe vivere ottanta vite in ottanta giorni, per poi tornare alla mia, per capire cosa si prova a non essere vincolati da due binari che ogni giorno ti portano lungo lo stesso tragitto. Un po’ più di due settimane fa un’amica mi scrisse “ognuno ha i suoi occhiali, ma nessuno sa mai troppo bene di che colore siano le lenti dei propri”: lo penso anch’io.

Il titolo mi è caduto tra le braccia come una vecchietta che si butta dalla palazzina in fiamme urlando “E se fossi un pomodorooo?”.
“A” perché amo, certa gente. Amo chi non sa dirsi “ti amo”, ma prova sempre a trasmetterselo. “E” perché esprime susseguenza, perché devo ancora finire di riordinare il mio armadio.

Dedicato a tutti coloro che forse non lo leggeranno mai, e che a volte vorrei, prima o poi, lo facessero.

19/09/2007

Coffee + TV

È una ruota che gira, è arancio. È il mio biglietto per il paradiso con data e ora d’inizio apertura cancelli. Sopra di esso otto comandamenti: non prenderti male, non pensare troppo, sii gentile ecc…
Otto, come le città che ci separano oltre la finestra chiusa di legno freddo.
“Sii romantico” sembra quasi una vocina dall’altra parte della strada: e non fa male ricordarselo di tanto in tanto.
Scrivo tutto, per ricordarmelo.
Ho visto un fulmine oggi, perché mi andava di vederlo. È parecchio che non piove; la pioggia fa parte della ruota che gira. La pioggia, evidentemente, non ha bisogno di cadere per sentirsi viva, di bagnare i cappelli, di scivolare sugli ombrelli, per farsi rispettare.
Ammiro la pioggia perché scende ovunque, soprattutto dove non serve, ma mai a compromessi.
Il caldo invece mi dà assuefazione; molto meglio un sole rosso, molto meglio del sale grosso (anche se i ladri di polli dicono brucino entrambi). Il sole ha un naso orrendo, ma lui finge di non crederci: guardandosi allo specchio s’accecherebbe. E non provate a fargli battute di dubbio gusto del tipo “Mai provato con i Persol®?”: è un tipo incazzoso, prende e se ne và. Tutti lo stimano perché lavora sodo anche quando ce la spassiamo in vacanza. Ha un contratto a tempo indeterminato.
Mangio molti biscotti ultimamente, soprattutto quelli con gocce di cioccolato, perché, dice Wonka,” il cioccolato dà la sensazione di essere innamorati”: per questo ho già fatto comprare a mia madre i tarallucci.
Probabilmente non è nemmeno questa la causa dei miei mali, anche se se ho provato a piangere me stesso con risultati poco convincenti (ho i condotti lacrimali molto piccoli). Probabilmente ho solo doglie, sintomo che qualcosa stia per nascere? O forse sono le solite note e i soliti accordi?
E comunque, sono sempre più convinto del fatto che, alle volte, basti una goccia di pioggia, del sale grosso e qualche espressione di riso per sfamarsi, una ruota che gira, per dare un tocco realistico, alla casetta sulla scatola dei biscotti Mulino Bianco.

17/09/2007

Joyce

Prefazione.

Il seguente post è stato scritto 3 settimane fa e quindi non rispecchia il mio attuale stato d’animo.
Lo pubblico per salvare dalla noia, la vita ad un amico.
Non ha un preciso significato.



Mi guardo negli occhi e mi odo cambiato. Cambiato nelle viscere, nei sentimenti, nel sentimentalismo sviscerato che da sempre custodisco per ricorrenze negoziate il giorno dopo.
Tronco e rammendo, la notte e non sempre, quando le immagini passano senza bisogno di essere pensate; solo ammirate. Molte volte mi addormento ridendo. Sogno spesso.
Sogno di una bambina che parla piano con la madre, mentre rileggo il giornale di ieri.
Aspetta nella mia stessa sala azzurra l’arrivo del medico. Sorride e mi guarda incuriosita, sembra felice, mi distrae, parla dei compiti di scuola. L’ascolto attento, come ascolterei lo stridere dei freni del treno mentre passeggi sulle rotaie, immobile, quasi cado dalla sedia; che strani effetti i nuovi antidolorifici. Abbozza un passo di danza e mi si ferma dinnanzi. Mi fissa per un secondo con i suoi occhi arrossati dall’influenza, ma ancora abbastanza verdi da scardinare il più sicuro dei cassetti della mia memoria. Le sostengo lo sguardo.
“Perché sei qua?”, domanda.
Subito la signora la riprende.
“Non disturbare il signore Evy”
Io le rispondo comunque: “Perchè inciampo tra i passi di chi vorrei strare molto vicino, e così, cadendo, mi faccio del male.”
Sentite le mie parole, la piccola torna dalla madre. Le sussurra qualcosa all’orecchio, poi dalla borsa estrae un pennarello blu. Stappa e ritorna; mi chiede di aprire la mano ed io non esito nel gesto.
Disegna una stella stilizzata e terminata, la ripete nel suo palmo.
Sussurra: “Non la perderai chiusa nel tuo pugno. Io farò la stessa cosa.”, e detto questo se ne va correndo lungo il corridoio.
Ributto allora lo sguardo sul quotidiano e neanche m’accorgo che i caratteri sono divenuti illeggibili, le frasi scivolano sulla carta ingiallita, le virgole somigliano a zampe di formiche indaffarate. La mia mente è il loro torso di pane.

“Le Nazioni Unite stampano nasi rossi sui dirigibili che si spostano starnutendo”

è ciò che a fatica riesco a leggere: maledetti antidolorifici.
Getto il giornale nel cesto nello stesso momento in cui il medico esce dalla porta.
“Il prossimo… S’accomodi”.
Il cuore comincia a pompare forte ma i battiti non aumentano. Mi alzo con moltissima fatica.
“Si sente male?”
Passa un treno alla finestra.
Il dottore s’avvicina. L’orologio cambia data.
Ingoio.
“No.” Mi guardo la mano, sorrido, me ne vado.

26/08/2007

Cinque giorni in città

Ripartire o ricominciare?
Non è l’amletismo del dilemma in sé che m’angoscia, quanto la delusione nel veder riproposto tale interrogativo. E conseguenze varie.
Personalmente ricomincerei o da una ballata o da una panchina. In realtà sono solo (e qui potrei chiudere il periodo) ripartito da due braccialetti di gomma de “L’era glaciale 2”, e gli effetti non si sono fatti di certo attendere: alla prima avvisaglia autunnale ho prontamente contratto un virus che oltre ad avermi azzerato le idee su come imbastire questo post, tuttora mi debilita, mi fiacca.
Basterà qualche giorno per rimettermi del tutto (nel senso di vomitare tutto me stesso), cosa che trovo essenziale per una corretta ripartenza (o ripartizione?).
Al medico di famiglia, uno sveglio che mi conosce da tempo, non c’è voluto molto per estrapolare la diagnosi. Dopo avermi tastato accuratamente il ventre, ed aver appurato che non vi fossero lance, ha cominciato a fare domande del tipo: “Ricordi la storia della Volpe e dell’uva?”, “Ci pensi sempre?”, “Te la senti di provare con il power-pop?”.
Terminata la confidenza visita e dopo avermi consigliato un corso d’autostima presso lo studio del Prof. Rollins, m’ha poi prescritto una pillola ad effetto placebo gusto lampone da usare come alibi nel caso qualcuno insinuasse dubbi sulla mia infermità mentale. Ad Esempio (adoro gli esempi):


Lei: «Ma tu hai dei seri problemi… fatti visitare da uno bravo!»
S.: «Già fatto… è una malattia abbastanza rara sai.»
Lei: «Dai non scherzare su queste cose…!»
S.: «Non scherzo. Guarda, queste me le ha date il mio neurologo.»
A quel punto estraggo il placebo.
Lei (visibilmente imbarazzata): «Io non sapevo, scusa, mi dispiace, scusa!»
S.(gaudente): «Tranquilla, non sei la prima, non sei diversa da tutte le altre


A quel punto, teoricamente, non dovrebbe avere il coraggio di ribattere, anche se, è altrettanto probabile che quella sarà l’ultima frase che le dirai.


Comunque m’ha fatto bene qualche ora d’agonia; erano circa due settimane che non stavo male e già sentivo il pungere di strani sospetti. Dell’ ultima volta però, porto ancora i segni tu m’insegni.
Una volta passata anche questa, spero mi si conceda un piccolo intervallo per ritrovare un po’di seren-quillità. E poi, io e te dovremmo, tra le altre cose, portare a compimento il record settimanale di presenze nel capoluogo. Eravamo rimasti a quattro se non vado errato.
Avrei bisogno di qualche concerto indie in qualche posto umido, non di Meneguzzi e Irene Grandi che passano ogni giorno sulla radio preferita del mio collega.
I capelli li lascio crescere e, anche se so che a loro costa sacrificio, forse un giorno mi ringrazieranno. Dicono che sarebbe meglio innaffiarli ogni tanto, ma con sto tempo incerto credo che aspetterò la prossima ondata di pioggia. Peccato non poter dire la stessa cosa del mio conto corrente; peccato, altrimenti ora sarei davanti alla banca con il liquidator.
Mi trovo a corto di gentil-obiettivi, non posso negarlo, ma sto provando a non pensarci più di tanto; fossi vissuto nel ventennio fascista non avrei chiamato mio figlio Benito; ci vorrà un po’ di tempo per focalizzarli. Dopotutto non ho mai cercato di illuminare il lato oscuro della luna o di catturare la sua attenzione: credo sia il motivo per il quale la gente ti offra volentieri il caffè, indipendentemente dal fatto che tu gli stia simpatico o meno.
Mi piace pensare sia un gesto di rispetto, che tenga la coscienza a posto.


Lo so, l’ultima parte è un po’ difficile ed alcuni la troveranno incomprensibile, ma a chi obietterà sulla veridicità risponderò ingoiando pillole.
Mi raccomando, tu non farlo, Mantide.


Domande?

14/08/2007

Strano

Occhi aperti sull’altra sponda del fiume.
Effetti collaterali post-antitetanica mi portano di nuovo a sedere e a riflettere sulle possibili colorazioni, combinazioni che il buio può celare; paranoicamente parlando non trovo ne corrispondenza con le interpretazioni più semplici che lo vogliono associato al nero, ne con il luogo comune che lo vorrebbe circondato da silenzio. Dal mio punto di vista tutto ciò può essere esemplificato attraverso una situazione che da alcuni giorni continua a riproiettarsi nei miei sogni come un video di Madonna su Mtv.

Sono coricato e nell’aria c’è un gran odore di cipria. La mia mano destra stringe una minuscola pistola ad acqua. L’altra mano stringe un’altra mano. Il cielo è bianco e il sole un rilevatore di fumo. Cerco di svitare quest’ultimo a distanza, con due dita, quando una Voce dall’altra parte del fiume mi ricorda gratuitamente che sono pazzo; non passa un minuto che riesco nell’impresa. A quel punto sparo un goccio d’acqua contro questa Voce che salomonicamente si abbronza solo per metà, rilasciando una serie di esternazioni bucoliche che rimandano al colore dei suoi occhi. Avvilito dal meschino gesto, provo a spararmi in bocca, ma vinco solamente nell’intento di dissetarmi forse più di quanto avrei voluto. Le sussurro allora qualcosa di antipatico e forse vero, ma (e qui sta il dilemma) improvvisamente resto solo, perché la mano che prima stringevo si stacca e se ne va sull’altra sponda del fiume per diventare tutt’uno con essa e salutarmi per l’ennesima volta.

Mire cui ambire. Questo è il mio buio, la mia corda tesa tra i pali portanti del circo e, a sentire gli altri, la mia rete a maglie strette.
Aristogatti che ballano il boogie e Donatella Rettore come professoressa di lettere sono due piccoli atomi della grave finta crisi che dicono essere in atto dentro di me.
La luna è completamente oscurata e la stelle aspettano che batta ciglio per cadere. Canto canzoncine idiote mentre gioco a tennis sfruttando la racchetta come chitarra.
Spiacente, non posso sforzarmi di cambiare.
Gli occhi sono esami. È strano, non poter far altro che superarli.

22/07/2007

Abito al civico 154, e qualcosa dovrà pur significare.

Da una decina di giorni vivo rilegato nel mio salotto, causa lavori per rinnovo mobilio cucina. Ci arrangiamo. Io e mio padre sediamo al tavolino degli scacchi che per l’occorrenza è stato apparecchiato con tartine al salmone al posto dei canonici pezzi. La partita dura ormai da qualche giorno e il mio avversario comincia già a dare segni di cedimento: due ore fa ha fagocitato la sua regina (contraddistinta da un’oliva nera), asserendo poi di averlo fatto per facilitare la mia vittoria stanco dell’estenuante agonia. Sdegnato da tale atto caritatevole il sottoscritto ha risposto mangiando la casella H8, creando un avvallo utile (da usare modi “VIA”) nel caso si volesse trasformare il gioco in Monopoli. L’auto-offesa sta nel fatto che non potrò più avvalermi dell’arrocco, la verità, che ho creato il loco ideale ove tenere la maionese.
Mia madre invece, vive per metà nel cassetto delle foto e per metà nel tappo della mia bic. Dice che così facendo ha meno roba da riordinare, dice che presto si trasferirà nella lavastoviglie e lo farà passando attraverso la cruna d’ un ago, in sella ad un cammello, recitando Carmelo Bene.
Dopotutto non è altro che vita da camper, con l’unica eccezione che non ho due ruote per portarmi via da questa città. Troppo caldo, troppe storie, le stesse. Sembra quasi di vivere in un film di Guareschi.
In piazza c’è il calcetto su telo saponato e così ogni tanto mi tocca restituire il pallone lucido che entra dalla finestra. Solo ogni tanto però. Con tutte le sfere rimediate e le bandierine rubate al campetto, ho cominciato a costruire un modello scala 800÷1 della molecola di Testosterone, ovviamente da adorare come mantra prima della mia imminente vacanza in Spagna.
A proposito, se non dovessi tornare dalla villeggiatura, sappiate che vi ho voluto bene. In particolare a te, Mantide, che te ne stai appoggiata e immobile sul gonfiabile, a mani giunte, aspettando che l’uomo del monte dica di nuovo “sì”.

07/07/2007

Il principio di Coriolis

Alcuni giorni fa, io e il mio cervello francese (noto ai più come “abatjour”), stavamo disquisendo sull’opportunità di annoverare nella nostra ormai consolidata compagnia un elemento divergente che potesse in qualche modo spodestare alcuni spazi fisici per il momento occupati dal desiderio;in sostanza stavo pensando ad una ragazza. Così, un po’ per gioco, un po’ per disperazione, un po’ perchè il colonnello Giuliacci ha veramente rotto il cazzo, cominciai a fantasticare su quanto sarebbe bello poter avere la capacità di prevedere le reazioni della gente, ancora prima di compiere le propedeutiche azioni: una previsione meteo rapportata alla socializzazione tra individui (tanto per restare in tema).

Lei: “Peccato, domani hanno messo pioggia. Usciamo insieme un’altra sera”
Io:” Facciamo dopodomani.”
Lei: “Lo sai che ho l’esame…”
Io:”Giovedì? ”
Lei:” Cosa?”
Io:”No, niente…”

C’è chi afferma sia possibile prevedere per tempo lo spostamento di grandi flussi fluidi e la loro conseguente sistemazione nell’atmosfera attraverso regole fisico-matematiche; stati apparentemente legati alla fatalità.
Allo stesso modo sostengo si possa presupporre il volgere di determinate situazioni con altrettanta sicurezza. Per esempio ciò che succede al sottoscritto quando tenta di avvicinare una ragazza e questa immancabilmente lo respinge, può essere dimostrato con l’esistenza delle forze apparenti, le stesse che spingono il cielo ad annerirsi o Giuliacci a sparare cazzate.
Esse, spesso capita si manifestino attraverso impercettibili segnali destabilizzanti, tra i quali ricordiamo: l’ improvviso mutismo localizzato (specie all’interessato), l’ improvvisa volontà di ricercare luoghi affollati, lo studio leopardiano pre-esame, il suicidio del fratello tossicodipendente, disturbi gengivali, varie ed eventuali. Non solo, suddette forze hanno a volte la capacità di coinvolgere nella loro negatività anche ambiti differenti ed indipendenti tra loro come il lavoro, l’auto, il calciomercato, le noccioline della Nestle® ecc…
Talmente infallibili che è come giocare con una roulette truccata, dove la pallina si ferma sempre sul nero (e poi dicono che vado in bianco), come sopravvivere per più di un anno se in città è arrivata Jessica Fletcher, come abbronzarsi con la luce irradiata da Vega.
Ora, pensate sia impossibile screditarle?

10/06/2007

Meglio soli che supernova, ovvero il post delle tre di notte.

Le vie della solitudine sono infinite ed è così, anche adesso, anche se un po’ assonnato.
A casa da solo, e neanche per tanto volendo dirla tutta. Questa mattina ho imbevuto il calzino nel tea dieci minuti dopo aver cominciato a lavorare. Ho tirato il filo del mouse da un capo all’altro dell’ufficio e ne ho approfittato per stendere i boxer mentre il mio capo (single per scelta) faceva la stessa identica azione addizionando al tutto un limbo più che mai gradito dalla direzione.
I miei telefonano spesso, o per lo meno provano a farlo. Da cinque giorni gli rispondo con un “cucu” seguito dall’ora esatta, poi riattacco. Mio padre, per questo, ha minacciato l’invio della squadra delta, mentre mia madre, che ha registrato una delle telefonate, l’ ha fatta recapitare ad un noto rapper romano. Quest’ ultimo carpendone immediatamente le reali potenzialità, ha subito provveduto a mandarla in loop su una nota radio locale. Ora è la suoneria più scaricata della settimana.
In camera ho appeso il poster della ragazza immagine di Yamamay e lo specchio sembra essersene innamorato. Da quando l’ho rivolto verso di lei pare non staccarle mai lo sguardo di dosso (ammesso che ne abbia uno), tanto che quando provo a specchiarmi lui la riflette ugualmente. La naturale conseguenza è che vado in giro vestito come un fante di coppe.
Soli, e fiori, emmenomale che c’è maltempo, altrimenti dormirei con le finestre aperte solo per guardare la luna. La luna è stupenda e io avrei bisogno di piedi freddi.
Emmenomale che c’è Fabrizio (Corona) alla TV, sennò penserei che l’unico idiota a questo mondo sono io: invece sono in lieta compagnia dell’ amico direttore di Studio aperto Giordano.
Da una settimana tengo accesi il riscaldamento e il climatizzatore contemporaneamente, riempio la vasca ma faccio la doccia, scaldo il fornello ma sniffo toast. Da una settimana sono più triste, anche se tutto sembra andare avanti. Da una settimana ho finito il labello, ma tanto, a chi interessa? Da una settimana convivo con me stesso e col mio mal di denti, forse più di quanto non avessi mai fatto. Da una settimana dormo male e l’avrete intuito dalla mia espressione.
Ora, se non vi dispiace, secondo molare permettendo, provo a non sognarvi. Dai dai, le scuole son finite… gioite. Anche tu Mantide. Un po’ di più… ancora… ancora… No, non ci siamo.

Un grazie a chi mi sprona a pubblicare, a chi mi crede squilibrato, al mio prof di disegno.

28/04/2007

L’umore mattutino di chi stanotte é stato ucciso in sogno.

Investiamo sulla gente ultimamente, la povera gente. Sono disposto ad investire perfino su me stesso più di quanto gli altri vogliano che qualcuno m’investa, cavaliere, in un giardino di felci, dietro la casa di ghiaccio del pagliaccio Dorè.

Dev’essere Parma che m’ha fatto sollazzare perché quando son partito stavo meglio.Voglio dare la colpa ai miei infradito verdi portati con le calze piuttosto che alla convivenza con un ingegnere che di notte è disposto ad ascoltare puttanate sulle leghe di rame.
Se qualcuno non lo sapesse, un mese fa ho cambiato lavoro. Ora lavoro. Stimatemi. Un po’di più… Ecco, perfetto.
Complimenti a chi si è sentito citato.

Ultimamente ci sono poco, ma non provate a cercarmi; intendevo con la testa. Colpa della Primavera?
Siamo in tanti, tutti vittime della stessa malattia, credo. Persino la Mantide ha preferito il germoglio al Fiore.
Un mio collega sta leggendo l’ultimo di Giorgio Faletti. Faletti. Giorgio.
Temo di aver perso qualche coccio di quel che ero. Temo di sapere di cosa si tratti, e non dovrebbe essere poi così grave. Chiederò a Muciaccia un po’ di colla vinilica.
Impoltronito; non faccio quasi in tempo a svegliarmi che qualcuno ti dorme. Maledetto l’uomo che inventò le forbici. Fatto?

Oh… Ma il gatto Ciliegia contro il Grande Freddo? Geniale.
Non ho voglia di imparare e aspetto le ferie come quando aspetto di uscire dall’acqua per respirare. Probabilmente quando riuscirò ad espellere tutto l’aria che trattengo, saprò proseguire senza interruzioni.
E non fate la faccia di chi non ha capito niente, lo sanno tutti che succede tutto in Aprile. Piuttosto.
Gioite.

09/03/2007

Gioite

Se riesci a sopravvivere, dicono, prima o poi qualcosa di eccezionale deve pur capitarti. A volte accade; accadrà (prima o poi) anche al sottoscritto. Forse cambio lavoro, e già questo sarebbe un ottimo motivo per brindare alla faccia di chi mi vuole funkazzista, poi, per la prima volta nella vita mi rendo conto di essere contento per la realizzazione di qualcun altro (strano, molto strano). Che mi stia tramutando in una sorta di Saul del nuovo millennio, o è solo merito della roba più costosa che mi passa sottobanco il mio amico farmacista? Perché domandarselo poi, non ne vedo il motivo.
Già, non lo vedo anche perché comincio sensibilmente a perdere diottrie, e come se non bastasse ogni tanto macchie scure scorrono da una parte all’altra del mio campo visivo: ripetuti dejavu di gatti neri che si fanno lo stesso percorso più volte solo per il mero gusto di portarmi sfiga.
Fortunatamente non sono superstizioso, non sono nemmeno supersfigato a dirla tutta; a tal proposito stasera si esce a rimorchiare quarantenni ubriache che escono barcollando dalla discoteca, ovviamente sperando di non finire la serata in un lago di sangria mista salsa cocktail con contorno di mimosa pochi minuti dopo.
Osservazione n°1: la pioggia in primavera è buona cosa perché fornisce un alibi per non aver lavato l’auto.
Vivo di computer da qualche settimana, ma da ieri ho deciso di diminuire sensibilmente la dose giornaliera. L’ho capito nel momento in cui ho confuso i tasti del telefono con quelli della tastiera;
ho chiamato il 9438865*** al posto del 3492265***, e neanche a farlo apposta ha risposto una signorina molto educata che mi ha rammentato del numero errato.
Osservazione n°2: le soluzioni ai problemi passano attraverso errori involontari.
Sono contento soprattutto del fatto che presto ricomincerò a sciogliermi (causa temperatura), meno lo sarà mia madre che dovrà inseguirmi mocio vileda alla mano per tutta la casa.
È possibile che questo sia l’ultimo post prima che il caldo ricominci a farsi sentire; forse più che una possibilità visto che le mie dita hanno già cominciato a gocciolare e trovo faticoso persino scrivere senza macchiare. Ma questo è un problema che per il momento non mi pongo, come disse l’impastatore del dash.
Osservazione n°3: spesso è sufficente pensare a Fabio Concato per comprendere quanto di buono abbiamo fatto finora.

12/02/2007

La notte dei lunghi secchielli

L’ultima volta che ho ascoltato questa canzone ero sdraiato su una panchina al parco a guardare Orione, o meglio, quello che credevo essere Orione. Era il 31 Luglio.
Sono passati circa sette mesi e qualcosa è cambiato, forse non quanto avrei voluto, ma per lo meno ora sono in grado di nuotare a farfalla.
Per cominciare ho comprato un portamatite nuovo, per le matite aspettiamo i saldi, idem per il temperino. Ho cambiato monitor (e già questo è positivo), ho anche messo in nota di riordinare la camera (per le idee ci stiamo lavorando), insomma, sono le 12 e 12 del lunedì e c’è chi sostiene lo siano per tutti; lo sostengono pure i cinefili più moderati. Ora sono le 12 e 22, ma non è la stessa cosa.
Giovedì ho visto prosciugare quattro secchielli in meno di un’ora, ora, che agli inglesi piace chiamare “Felice”. Come dargli torto? Siamo solo carne, idrogeno e burro d’arachidi.
Patafisica a parte, è da stamattina che ho in testa il ritornello di “Buildings began to stretch wide across the sky and the air filled up with a reddish glow”(Tradotto:“le mura”) e (stranamente) ho un’incontenibile voglia di saltare. Canguri del cazzo. Scusate, non lo penso.
Credo che in fondo anche l’ozio sia una forma d’arte, in fondo dovrebbe esserlo anche l’anarchia; sarà per questo che sto seriamente pensando di andare ad abitare fuori casa? Dovrei…?
A furia di pensarlo, probabilmente molto presto mi autodistruggerò, e c’è già gente pronta a scommetterci (vedi Romina Power). La mia fine entro primavera è data 3 a 1, e se potessi puntarci qualche spicciolo, forse lo farei, ma se per una volta, invece di puntare, appuntissi matite woh oh?
Dai, che Marzo è alle porte.

17/01/2007

La fiera delle ovvietà

Ieri sera, per tirarmi un po’ su di morale, mi sono sparato il film di Scooby Doo. Poi sono andato a letto, la solita mezz’oretta di riflessione, mi sono addormentato. Stamattina sveglia alla solita ora, colazione, camicia, maglione, l' auto, il cartellino, “gionbuorno”, il computer, l’ E-mail, il disegno ecc…
Fuori non fa freddo, ma tutto è bianco. Se la sera esco, guardo il cielo e non vedo le stelle. Da qualche giorno mi chiedo "perché non ci capiamo se parliamo la stessa lingua?"; forse se lo chiede anche Scooby Doo. Domenica pomeriggio ho scoperto che i barman complottano contro il sottoscritto introducendo, a sua insaputa, piccoli, algidi, trasparenti, nonché paralizzanti oggetti cubici nella coca che solitamente si scola alla goccia. In questo modo resto ore al tavolo di legno a fissare un punto, fin quando saturo del tedio accumulato comincio a dimenticarmi di essere sfigato (“meno male che ci sei tu, vita, a ricordarmelo” cit.) e ad abbracciare pensieri meschini. Ho come l’impressione di perdere un sacco di occasioni, ma mi ripeto che è giusto così. Sto lucidando le maniglie del Titanic, e intanto il tempo fugge.

05/01/2007

Déjàvu

Alcuni sostengono che la pausa natalizia giovi all’umore. Altri, al contrario, affermano che possa far perdere il regolare ritmo quotidiano e quindi nuocere. La verità deve per forza stare nel mezzo, purchè al ritorno del tuo soggiorno a Parigi non ti vengano offerti Mon Chéri. In tal caso mi allineo con la seconda ipotesi.
Diamo pure la colpa allo scarso contenuto di fosforo della novelle cousine e a qualche molecola di alcool ancora presente dalla notte del primo; la verità è che ieri notte mi sono preso discretamente male (ovviamente senza giusto motivo). E come sempre in questo particolare stato d’animo ho dato il meglio di me. Ho persino trovato il tempo per pormi alcune domande… guarda caso avevano un non so che di familiare.

  1. È forse utopistico pensare che per una volta tutto andrà come vorresti che andasse?
  2. L’azienda per cui lavoro dovrà presto cercarsi un nuovo disegnatore?
  3. Montezemolo è figlio illegittimo di Gianni Agnelli?
  4. La Bauli riuscirà ad accollarsi le spese della cassa integrazione durante i mesi caldi? E la Motta?
  5. Chi sono? Sono calvo? In quale giorno fu presa la bastiglia secondo il calendario della rivoluzione?

A condire il tutto mancavano ormai solo reminescenze di vita vissuta: capisaldi conquistati con lacrime e insonnia che non andrebbero mai e sottolineo mai dimenticati. Ricordiamo i principali.

  • Teorema del Contadino.
    “il contadino sa quando i frutti son maturi”
  • Teorema della precocità o della guida a destra.
    “chi parte in quinta, spegne la macchina”
  • Teorema del “sembra facile” o della “pappa pronta”.
    “tanto per il meglio sembra mettersi una situazione, tanto più difficile sarà portarla a compimento”.

Un mix decisamente letale.

Così m'assopii.

Ah, per la cronaca, esiste.