19/09/2007

Coffee + TV

È una ruota che gira, è arancio. È il mio biglietto per il paradiso con data e ora d’inizio apertura cancelli. Sopra di esso otto comandamenti: non prenderti male, non pensare troppo, sii gentile ecc…
Otto, come le città che ci separano oltre la finestra chiusa di legno freddo.
“Sii romantico” sembra quasi una vocina dall’altra parte della strada: e non fa male ricordarselo di tanto in tanto.
Scrivo tutto, per ricordarmelo.
Ho visto un fulmine oggi, perché mi andava di vederlo. È parecchio che non piove; la pioggia fa parte della ruota che gira. La pioggia, evidentemente, non ha bisogno di cadere per sentirsi viva, di bagnare i cappelli, di scivolare sugli ombrelli, per farsi rispettare.
Ammiro la pioggia perché scende ovunque, soprattutto dove non serve, ma mai a compromessi.
Il caldo invece mi dà assuefazione; molto meglio un sole rosso, molto meglio del sale grosso (anche se i ladri di polli dicono brucino entrambi). Il sole ha un naso orrendo, ma lui finge di non crederci: guardandosi allo specchio s’accecherebbe. E non provate a fargli battute di dubbio gusto del tipo “Mai provato con i Persol®?”: è un tipo incazzoso, prende e se ne và. Tutti lo stimano perché lavora sodo anche quando ce la spassiamo in vacanza. Ha un contratto a tempo indeterminato.
Mangio molti biscotti ultimamente, soprattutto quelli con gocce di cioccolato, perché, dice Wonka,” il cioccolato dà la sensazione di essere innamorati”: per questo ho già fatto comprare a mia madre i tarallucci.
Probabilmente non è nemmeno questa la causa dei miei mali, anche se se ho provato a piangere me stesso con risultati poco convincenti (ho i condotti lacrimali molto piccoli). Probabilmente ho solo doglie, sintomo che qualcosa stia per nascere? O forse sono le solite note e i soliti accordi?
E comunque, sono sempre più convinto del fatto che, alle volte, basti una goccia di pioggia, del sale grosso e qualche espressione di riso per sfamarsi, una ruota che gira, per dare un tocco realistico, alla casetta sulla scatola dei biscotti Mulino Bianco.

17/09/2007

Joyce

Prefazione.

Il seguente post è stato scritto 3 settimane fa e quindi non rispecchia il mio attuale stato d’animo.
Lo pubblico per salvare dalla noia, la vita ad un amico.
Non ha un preciso significato.



Mi guardo negli occhi e mi odo cambiato. Cambiato nelle viscere, nei sentimenti, nel sentimentalismo sviscerato che da sempre custodisco per ricorrenze negoziate il giorno dopo.
Tronco e rammendo, la notte e non sempre, quando le immagini passano senza bisogno di essere pensate; solo ammirate. Molte volte mi addormento ridendo. Sogno spesso.
Sogno di una bambina che parla piano con la madre, mentre rileggo il giornale di ieri.
Aspetta nella mia stessa sala azzurra l’arrivo del medico. Sorride e mi guarda incuriosita, sembra felice, mi distrae, parla dei compiti di scuola. L’ascolto attento, come ascolterei lo stridere dei freni del treno mentre passeggi sulle rotaie, immobile, quasi cado dalla sedia; che strani effetti i nuovi antidolorifici. Abbozza un passo di danza e mi si ferma dinnanzi. Mi fissa per un secondo con i suoi occhi arrossati dall’influenza, ma ancora abbastanza verdi da scardinare il più sicuro dei cassetti della mia memoria. Le sostengo lo sguardo.
“Perché sei qua?”, domanda.
Subito la signora la riprende.
“Non disturbare il signore Evy”
Io le rispondo comunque: “Perchè inciampo tra i passi di chi vorrei strare molto vicino, e così, cadendo, mi faccio del male.”
Sentite le mie parole, la piccola torna dalla madre. Le sussurra qualcosa all’orecchio, poi dalla borsa estrae un pennarello blu. Stappa e ritorna; mi chiede di aprire la mano ed io non esito nel gesto.
Disegna una stella stilizzata e terminata, la ripete nel suo palmo.
Sussurra: “Non la perderai chiusa nel tuo pugno. Io farò la stessa cosa.”, e detto questo se ne va correndo lungo il corridoio.
Ributto allora lo sguardo sul quotidiano e neanche m’accorgo che i caratteri sono divenuti illeggibili, le frasi scivolano sulla carta ingiallita, le virgole somigliano a zampe di formiche indaffarate. La mia mente è il loro torso di pane.

“Le Nazioni Unite stampano nasi rossi sui dirigibili che si spostano starnutendo”

è ciò che a fatica riesco a leggere: maledetti antidolorifici.
Getto il giornale nel cesto nello stesso momento in cui il medico esce dalla porta.
“Il prossimo… S’accomodi”.
Il cuore comincia a pompare forte ma i battiti non aumentano. Mi alzo con moltissima fatica.
“Si sente male?”
Passa un treno alla finestra.
Il dottore s’avvicina. L’orologio cambia data.
Ingoio.
“No.” Mi guardo la mano, sorrido, me ne vado.