13/07/2010

Via degl'acciaioli

Attacco il ventaglio all'alimentatore sperando di riposare un po' la mano. Persino l'acqua ora ghiaccia a cinque gradi per non perdere tempo e la granita si ritrasforma in cubetto per sentirsi meno a pezzi. Caldo come un altoforno del Brasile, l’argine sembra una barriera d’amianto che trattiene l’afa. Dall’altra parte secchiate di sabbia ai bordi del Po, e falò, accesi per ricordare Pavese, non per scaldare gli animi.
Batto il ferro ma senza umiliarlo: siamo tutti fabbri a casa nostra, siamo falegnami. Ciliegie al battere del martello, l’aria umida ci forgia dalla tenera età, la pianura c’incrudisce e nelle lanche di fiume ci tempriamo.
Gli abeti bruciano insieme ai fossi secchi e i batacchi scivolano sulle porte unte di sudore. Le feste cominciano nei cortili e finiscono nei campi, così gli studenti, al finire delle scuole.
In Via degl'acciaioli puoi vedere le ceneri dei fuochi d'artificio cadere sui tetti in cotto, sfiorare i pagliai e morire accanto agli aghi.
Le gatte leccano le loro zampe polverose, e si attorcigliano tra le gambe dei viandanti. C’è chi chiede la mano di sua cugina, chi nella notte sobbalza e parla con i cavalli, chi chiama la gente per nome e chi non ricorda chi fosse Matusalemme.
Nessuno porta gli occhiali se non i maestri, ma delle piccole cose tutti sanno e nessuno parla. Gli oratori sono malvisti se non son preti e la fiducia è più cara delle figlie nubili e più rara dei miscredenti.
Ogni tanto qualcuno ricorda le nevicate nella pianura per rinfrescarsi la memoria. Parla in quarta persona, di quando gelavano le strade e il bianco sulla terra tagliata resisteva per giorni, come la neve che non si scioglie nelle foto, anche se accartocciate dal sole.
In Via degl’acciaioli l’aria è grigia e s' addensa con gli sbuffi rauchi dei cani accaldati. Le punte dei cancelli s’arricciano per lasciare entrare gentili compagnie.
La sete fa il resto.

24/06/2010

Ristagno

Eppure quel viso m'era famigliare.
Mi chiesi allora se per caso non avessi chiuso a chiave il cassetto e tu, fossi uscita di nuovo. Le campane stavano in silenzio, le vedove non piangevano più. T'ho cercata nel letto di un fiume in secca, tra le barche incagliate, dietro le alghe, nella bocca di un pescegatto che intrappola un Geppetto reietto.
"I pesci sentono la sete?" ,mi domando da qualche giorno. E se si addormentano con la corrente che li trascina lontano, poi riescono a tornare?
Se vi dicessi che il mio cranio è un fiume e il mio cervello il pesciolino rosso, vi direi un' inesattezza. In realtà il mio cranio è la boccia e il pesce rosso è la mia coscienza.
Se il pesce salta gli schizzi escono, e lentamente sul bordo della boccia scendono; è così che nascono le lacrime.
Le alghe sembrano fiori appassiti in un mondo rallentato, capelli, di donne piantate nella sabbia come carote e mai raccolte; sospirano di tanto in tanto con bolle silenziose.
Nemmeno i violini suonano nell'acqua. Non c'è voce di sirena per chi non sa ascoltare la propria coscienza, così come non c'è vetro troppo spesso da abbattere se si vuol sconfinare con la mente.
Saltare fuori dall'acquario è scoprire che oltrepassare certi confini è doveroso per alcune persone, e non solo che, come costellazione zodiacale, al massimo si può incocciare nei Pesci o nel Capricorno.
Allora ripenso ad un Geppetto argonauta, perchè così dev'essere, fiero e malinconico, che tenta di accendere un fuoco con i resti del suo ultimo Pinocchio inumidito.
E anche se può sembrare strano, il pescegatto percepisce tutto, ma non parla, come un mondo chiuso e riservato, continua a nuotare sul fondo stuzzicato sul ventre da qualche chioma lussuriosa.
Mute come i pesci le nostre coscienze, non più muse. Vedo il mondo ma non lo sfioro, sfiorisce; mentre tento di sfondare le pareti mi accorgo che non vedo più le stelle; a malapena te.

02/12/2009

Colletti bianchi = Cornetti caldi

Divisi da un colore che da sempre li distingue in buoni o pessimi, colletti bianchi e cornetti caldi, lavorano nella stessa azienda, collaborando, coadiuvando, fino al punto di confondersi nei ruoli e nei rapporti; identiche azioni, attori complementari; il mercato li considera gl'uni l'alterego degl'altri.
Ma come in tante, troppe, situazioni spesso accade, a piccoli dissapori fanno seguito grandi dissensi. Caldi e commerciali per essere facilmente digeriti da tutti, addirittura pesanti in talune circostanze, farciti della necessaria autostima, a molti, possono risultare stomachevoli.
Svolgono ruoli importanti nel mantenimento di un qualsivoglia organismo, racchiudendo in se stessi non solo un'anima nobile, dolce, ma la sicurezza di ingolosire il cliente con estrema semplicità. Il grado di bontà del singolo può essere un aiuto o un deterrente nel campo meramente pratico ed è per questo che l'atto di assunzione di un elemento è il più delle volte motivo d'abbandono.
Si presentano sempre al cliente con la necessaria umiltà, porgendosi con raffinatezza affinchè quest'ultimo sia in grado di percepire l'intenzione da parte loro, di essere scelti innanzituttto, ed in secondo luogo di intraprendere il ciclico percorso che li porterà ad essere metabolizzati ed assimilati dal sistema.
L' attenzione a nutrire il mercato è, e deve essere, prerogativa dominante per essi. La ricerca di nuovi espedienti, ingredienti, che invoglino il cliente a comprare sono la ricetta per un rapido indirizzamento nel mercato. Sapersi vendere bene è fondamentale, stuzzicare le voglie dell'acquirente, sfamare le richieste trascinado, perchè no, anche con qualche "zuccherino", liquidi importanti nella propria botte, senza mai darla a bere a nessuno.
Fermi e calorosi con chi, solo passa per la strada o si ferma a bere un caffè: il compratore percepisce l'odore del bene scadente e a quello ne preferisce il curato, o ben che vada, il Vice parroco.
Le esponenti di sesso femminile non vengono chiamate ne "collette bianche" perchè darebbero l'idea di dissipare denaro nella sola beneficienza, ne "cornette calde" perchè escluderebbero la fascia d' età che va da zero a diciassette anni compresi.
Si concedono a chiunque, purchè s'abbiano intenzioni serie, non ingorde o voraci; loro diffidano da chi vuol fagocitare tutto subito senza assaporare ogni singolo particolare di rilievo.
C'è chi sostiene infine che in fondo siano fatti della stessa pasta, ma io diffido: ho dato un morso alla Tyson e invecie del ripieno alla crema mi sono ritrovato con un piercing alla lingua. Alcune signore però, non disprezzano i cannoli.
Ma questa è un'altra storia, come credo suggerirebbe Guareschi.

03/11/2009

Esposizione prolungata al lucidalabbra di una ragazza.

Paolo è tornato, l'ho capito dal suo sguardo stretto.

Non ha mai detto che fosse partito, anche se tutti noi ce n'eravamo accorti subito. Il tempo passa troppo in fretta, soprattutto in Novembre; Paolo sostiene che è ancora troppo presto per raccogliere i cardi. Ora Paolo parla per lemmi, tra sospiri e silenzi cadenzati dalla goccia che cade dal soffitto di vetro di camera sua. L'ho visto ridere delle rime di Praga mentre contava i fiori cresciutigli sul terrazzo. Paolo è un galantuomo con un futuro da impiegato d'azienda. Vede il mondo attraverso un tubo quadro di ferro rubato nella bottega di suo padre, e dice che le cose si sentono piu importanti se osservate escludendo tutto ciò che sta loro intorno, come le donne.

Le scarpe di Paolo hanno lacci al magnesio e plantari al cobalto. Gli furono donate dal re del Senegal per ringraziarlo d'averlo convertito alla religione azetca, religione incentrata sul dio bianco Quetzalcoat. Poco prima che piova le scarpe si colorano di un blu acceso e leggende metropolitane dicono che siano proprio le scarpe portate da Noè durante i quaranta giorni del diluvio. A rafforzare questa ipotesi una minuscola e incomprensibile ai più, dicitura, all'interno di entrambe le calzature recita “MADE IN BANGLADESH”, che secondo gli esperti di Voyager, in senegalese antico significherebbe “Non è nero” o più semplicemente “Noè nero”.

Paolo è maledetto, o maledettamente diviso tra la volontà di diversificarsi dalla gente e la ricerca del segreto per una vita tranquilla. Io spesso mi sono chiesto se la sua sveglia a forma di gallo fosse in realtà un gallo a forma di sveglia; se la seconda ipotesi fosse veritiera svelerebbe perchè ogni mattina, prima che suonino le sette e trenta, Paolo abbia già rinnegato Dio tre volte.

Sono sicuro che ripensa spesso all' infanzia passata in Africa con il padre, al suo hobbie di bracconiere reietto, al porto di Dakar, alle risate e alle bistecche di caribù come solo lui safari.

Paolo è rimasto lo stesso ragazzo che conoscevi. Non ha ancora capelli bianchi, ma solo capelli diversamente mori, non ha rughe sul viso perchè un quadro invecchia al suo posto, un tubo quadro. Ha cercato di non amalfi più, in ogni molo: ha cercato di cambiarsi. Ha provato a inondare la terra di pianura con le sue lacrime e s'è costriuto una barca di carta con le lettere che avrebbe voluto consegnarti prima di partire.

Paolo è tornato, l'avrai capito dal cielo grigio, ma benchè lunghe, anche le anguille hanno una fine.

04/12/2008

Stalattiti e talloniti

Talloni di eroi greci, tallonati da Patrocli; alcuni di noi cedono a queste metafore .

Ci sentiamo pieni come lune in certi momenti, piccoli come puntini luminosi tra le grandi stelle quando salta la corrente. Non adesso però, almeno io. Sarà perchè sto scrivendo?

Non voglio uscire dal mio letto però, non voglio uscire dal semitato, forse dal seminario, non voglio abbandonare la coperta: voglio stare sotto coperta, come farebbe un Agamennone qualsiasi. Con la mia Elena, anche di Sparta, nel caso Troia fosse stata legalizzata da mago Merlin o da qualcuno che sia chic (chic-che-ssia).

Codardi, coi dardi avvelenati conficcati nella schiena, greca la mano che li piantò (suggerisce Omero), che lì pianse, perchè la vendetta non ridà achei, al massimo aculei, insanguinati.

Stalattitici, pronti a infierire sopra il primo elmo troiano. Appuntiti, come appunti con troppi punti, di sospensione per l'appunto, della patente, e patetici o patentici, se cerchiamo di far soldi mettendo velox per le bighe.

Achillidi con la tallonite e la fascia del dottor Gibaud intorno alla vita, e i guantoni, per schivare il colpo della strega e poi un giorno vincerne il premio.

Ettori o attori? Sicuramente protagonisti per vincere falsi pronostici. “Oh Atena mia bella perchè m'abbandoni?”. Un post-it appiccicato sulla fronte mi ricorda che siamo uomini e non dei...


Ipoteticamente tu: “Dei...? “Finisci la frase!”

Indubbiamente io: “Dei. Punto!”

Confusamente entrambi: “Ma dei che? Dei conigli, dei ladri, dei pokemon...?”

Indiscutibilmente io: “Dei... Tipo Zeus, Apollo, Silvio...”

Ammiccamente tu: “Ah! Bingo...”

Imbecillamente io: “Mai sentito...”


Rabdomanti d'affetto vicino ad una stufetta rotta o coricati sul divano a guardare Ballarò. Certe sere arrivano le undici e neanche me ne accorgo. Non servirebbe Ulisse per convincermi a partite per Troia (niente doppi sensi), non serve partire e basta a volte, per provare a piangere a pioggia.

Urlano le formiche ma noi non le sentiamo, eppure anche la loro ira può essere funesta.

Sarà, ma nessuno ne canta le gesta.

Priami, solo un po'.

Daii...

09/08/2008

Chissà, ch'ella non venga allo spettacolo...

Dimmi che non è sera, che non è Agosto. Dimmi che una riga è solo una riga e uno schiacciamosche ha maglie così larghe da lasciar passare una freccia. Lasciami dire che non è bello quello che scriviamo, perchè lo pesiamo; la mia nutrice non è un pesce solo perchè è femminile singolare. Potevano inventare un nome migliore per la bottarga.

Non vedo dove sia il problema se in una giornata ci sono ventiquattr'ore e qualche mese si accontenta di trenta giorni: mio padre si è sposato a trent'anni e non ne mai sofferto.

Passatemi anche il termine “soffuso” per indicare uno stato di fiacchezza dovuto alla spesa eccessiva di energia, e visto che in realtà, fuso lo sono veramente (so' ffuso), fungerò da fungo di emergenza nel caso dovesse scoppiare il caso, e diventare caos.

Non dico che sia colpa tua se a volte mi sento come una sedia, pronta a portare il peso dei telecomandi poggiati e dimenticati, se mi tocca placare il vibrare delle gambe tese. Tebe è quasi completamente distrutta, mi spiace, non volevo essere io a dirvelo.

Ripiegherò sulla magia allora, che dicono essere un'anomalia di sistema, più che una correzione della traettoria del nostro cammino, o della canna del nostro camino, o della canna del mostro marino, o della canna del mozzo Marino, o della canna mozza in lana merinos.

Non ho mai visto una foca, è strano lo so. Nemmeno Amedeo, eppure sa che le foche hanno un naso nero e tenero, commestibile forse, e che non hanno paura dell'acqua solo perchè è femminile singolare.

Non ho mai visto una foca monaca. Amedeo annuì.

Spiegazioni non riuscirei a darne sulla mia giocosità, inventerei difetti che non m'appartengono, imbriglierei teorie cavalcabili probabilmente, ma troppo gracili da poter reggere il peso della mia armatura.

Tu prova a dirmi che sono ancora io, che non vedo più in là del buio, che non ho trudi sulle mensole in camera mia.

Dimmi che ho gambe e mani così forti da poter stringermi ad un cedro e non cadere in questo Libano. Dimmi che non cadrò nella tentazione di strappare un quadrifoglio solo perchè è diverso, o di cambiare marcia se a volte sono su di giri. Dimmi che avrò un posto anch'io nel mondo, che alcune strade si possono percorrere a cuor leggero. Dimmi che ho ancora voglia di imparare, di svegliarmi la mattina, di guardare e non pensare che la mia mente mi porterà lontano oggi, non perchè l'ho voluto o cercato, ma solo perchè è femminile singolare.

28/05/2008

Marmellata #26

C'è del miele in Danimarca.
C'è del miele in Danimarca, non vi suona strano?
C'è del miele in Danimarca, me l'ha bisbigliato Winnie Pooh, quello che tieni penzolante al tuo telefono, come una scatoletta vuota legata alla marmitta in coda alla macchina degli sposi.
C'è del miele in Danimarca, non solo sirenette, altrimenti sarei rimasto con l'amaro in bocca, mentre ora, c'è solo qualche mora incagliata tra i denti.
C'è del miele anche nella tua credenza, popolare o meno lo so per certo, anche se fa freddo e le api non pungono, ma girano in tondo, sopra le teste di qualche neonato, appese a un filo di nylon; proprio come il tuo Winnie Pooh.
C'è miele e miele, Danimarca e Danimarca, anche se credo si assomiglino un po' tutte le nazioni del Nordeuropa. Sbaglio forse nel dirtelo adesso che ti sei annessa alla Svezia.
C'è un po' di Danimarca nel miele, lo diceva la Nonna. C'è un po' di te e di me in questa smielata Danimarca, quasi a dire che in fondo non siamo così diversi, benchè tu sia Ariel e io l'Ape Maia.
C'è del miele, che sa diventare acre come la fiele, se la Danimarca non lo sa apprezzare; vorrei solo che la marmellata non ne soffrisse oltremodo.
C'è chi è, e chi non è sicuro. Sicuro che finchè ci sarà Danimarca, ci sarà sempre un goccio di miele ad addolcirla; finquando la mia mano riuscirà a sollevare un cucchiaino, e la tua bocca ad accogliere un fiore, tra mille, Silvestre.
D.

Al cielo.

13/04/2008

Me ne andrò da Andromeda.

Scriverei sopra una collina ligure se ne avessi l'occasione, con le gambe incrociate e la schiena ricurva, solo per ricordarmi che il freddo non è un compagno di viaggio, ma solo un passeggero che quando arriva a destinazione si alza senza disturbare. E tu continui nel tuo viaggio, che a volte ti sembra solo un girotondo, a volte solo un viaggio senza ritorno, con poche speranze di incontrare qualcuno che ti invogli a scendere anche solo per po'.
Le stelle sono più vicine a guardarle dalla collina, sono più spendenti. La loro luce arriva a te prima delle loro parole. Le stelle devono essere ragazze, altrimenti non avrebbe senso dedicar loro tempo, oppure un gioco, un film, da guardare quando gli amici non escono la sera. Ho due ipotesi su di loro che riconducono entrambe alla medesima teoria: le stelle non esistono.


Ipotesi N°1

Le stelle sono un difetto generalizzato del campo visivo umano, probabilmente causato dal manifesto ipnotico del PDL o dalla sola locandina di Bondi.


Ipotesi N°2

La Warner Bros, dal 1968, ogni sera, ad orari variabili (a seconda di quanto scritto sul diario vela di Duffy Duck), irradia un fascio blu scuro verso l' alto che di tanto in tanto gira su se stesso, e meschinamente, nell'ultimo periodo, s'è scordata di pulire la lente del proiettore causando così piccole impurità chiare nella volta celeste. Questo spiegherebbe che gli avvistamenti U.F.O. non sono altro che piccoli insetti che si imbattono nel raggio, e che le stelle cadenti, la scia che lasciano le sigarette dei tecnici che passano davanti a quest ultimo. La sede della W.B. è collocata sotto la stella polare, per questo ci sembra punti sempre il nord, e le costellazioni non sono certamente niente di più che manifesti pubblicitari per bibite o capi d'abbigliamento; come ad esempio quella del Toro riferita alla Red bull®, dei gemelli a Robe di Kappa®, del leone alla Lonsdale® ecc.. Secondo voi, perchè le magliette dei Carmal Rams si vendono così bene ultimamente? Molto presto sarà possibile intravedere la sagoma della Brambilla in intimo da notte sventolante la bandiera del PDL accanto alla galassia di Andromeda.


Il mio compagno di viaggio siede sulle mie gambe ora. Il battere sui tasti è la sua voce, e anche se a volte gli si stacca il tasto “M”, difficilmente penso che mi darò del “MorMone” o del “Macedone”. Strano, come allora, come un anno fa, che non riesca a scrivere quella parola. Non è “Mantide”, ne “Molibdeno”: fa rima con “Mimosa” e se dicessi “rosa” la troncherei, ma non è un fiore e non è giallo.
Spero che l'Asus non abbia lesinato sui pezzi di ricambio, spero che non ci metta troppo tempo arrivare questo tasto (dolente?), prima che, come tanti, mi convinca ad imparare il trucchetto del Copia-Incolla.


Dedicato a chi sta per partire per Andromeda e a chi schiaccia tasti come schiaccerebbe pisolini, ultimamente.


P.S.
Succede tutto in Aprile. Io lo so il perchè.

09/11/2007

Braille

Chi nasce aforisma non è in grado di spiegare pienamente ciò che vorrebbe gli altri sapessero. Io sono un aforisma. Sono una frase letta ad alta voce della durata di pochi istanti e che per molti è troppo complicata per essere ricordata o capita.
Gli aforismi si perdono nella quotidianità, nelle luci, negli istinti estinti in pochi istanti, negli alberi di Natale che disprezzano perché magnolie addobbate, nei cancelli che si chiudono per ogni porta che si era aperta, nella punta di una matita che fora la carta tenuta a sbalzo.
L’aforisma è a se stante e non ha bisogno di dare spiegazioni su di sé, esce praticamente solo la sera perché di giorno studia per diventare prosa o poesia o proverbio. Non ha organi, non ha polmoni, non ha arti, ma arte, da qualche parte. È molto spesso malinconico.
L’aforisma si prenota e poi si pente all’ultimo momento, soprattutto se non c’è più nemmeno (permettetemi) un brandello di muro da abbattere, perché è troppo tardi, e le mattonelle le usano gli altri per costruirsi un futuro. Siamo tangenti ai cerchi della gente, che tocchiamo e salutiamo, per paura di disturbare o di essere intersecati. Molti preferiscono Trieste a Milano, alcuni soggiornano a Ferrara, altri ancora scelgono l’Inghilterra come meta turistica; tutti però amano spostarsi e vanificarsi come frasi sussurrate ai sordi.
L’aforisma viaggia senza biglietto e si nasconde sull’ultima carrozza sperando nella pigrizia del controllore. Molte volte perde il treno e rimonta una o due fermate successive: dipende dall’eco.
Gli aforismi sono cocci di poemi o emozioni, sono aringhe pescate sui monti, sono palindromi che letti al contrario hanno lo stesso identico corpo ma maggiore enfasi, sono i tasti della calcolatrice una volta terminate le palline sull’abaco.
Sanno leggere in braille perchè credono che l’amore sia cieco.
L’aforisma è tutto quello che vi avrei voluto dire e non vi ho scritto, ciò che vi avrei voluto scrivere e non vi ho detto; colpa mia, più che dell’amore.

P.S.
prestami il moscone che vado in Nord Europa, Montone.

04/10/2007

A d’amo, e d’Eva

Capita spesso che rimanga molto tempo a fissare il monitor, prima di cominciare a scrivere qualcosa che m’aggradi. È questo il caso. Non mi piace scrivere troppo di me, ne tanto meno delle mie amarezze. Non mi piace, ma lo faccio. Non scriverei cose interessanti nemmeno se mi capitassero: preferisco propinare periodi senza logica, probabilmente per il mio modesto livello culturale che m’impedisce di formulare non più di un pensiero razionale alla volta. Mia madre sostiene che non sia mai stato entusiasta di nulla, e credo abbia ragione. Sono sempre più convinto del fatto che un ripasso generale delle nozioni base di lingua italiana non possa che giovarmi.
Stranamente oggi, rileggendomi dopo molto tempo, non mi sono trovato nemmeno troppo pesante. Forse ad alcuni di voi manca solo un algoritmo di lettura, una formula che traduca in sensate certe mie affermazioni apparentemente casuali. So per certo che coloro che posseggono suddetta “chiave” si possono contare sulle dita di una mano, i restanti non possono far altro che ipotizzare (beati voi).
Da due settimane sono sommerso dal lavoro, mangio il giusto e faccio poco movimento. Due settimane fa ero più giovane di quattordici giorni e mi dicevo che era solo questione di un paio di settimane e tutto si sarebbe risolto. Due settimane fa stava per cominciare il mio Autunno-inverno, proprio mentre i Weakerthans cantavano “Everything must go” e io ero seduto sul letto davanti all’armadio a fissare i vecchi maglioni di cotone; è quasi divertente il fatto che anche oggi abbia passato tre quarti della mia giornata in maniche corte. È altrettanto assurdo che durante il giorno mi capiti spesso di pormi domande esistenziali, banali, antiche, la cui risposta potrebbe benissimo essere inglobata in una paternale non troppo curata, ma benché me ne renda conto, rimango ugualmente a pensarci per qualche minuto, quasi in attesa di una risposta o di un miracolo divino che venga ad illuminarmi.
Mi piacerebbe vivere ottanta vite in ottanta giorni, per poi tornare alla mia, per capire cosa si prova a non essere vincolati da due binari che ogni giorno ti portano lungo lo stesso tragitto. Un po’ più di due settimane fa un’amica mi scrisse “ognuno ha i suoi occhiali, ma nessuno sa mai troppo bene di che colore siano le lenti dei propri”: lo penso anch’io.

Il titolo mi è caduto tra le braccia come una vecchietta che si butta dalla palazzina in fiamme urlando “E se fossi un pomodorooo?”.
“A” perché amo, certa gente. Amo chi non sa dirsi “ti amo”, ma prova sempre a trasmetterselo. “E” perché esprime susseguenza, perché devo ancora finire di riordinare il mio armadio.

Dedicato a tutti coloro che forse non lo leggeranno mai, e che a volte vorrei, prima o poi, lo facessero.